Siamo tutti “mangiatori di pane”

Qui un uomo aveva tana, un mostro,

che greggi pasceva, solo, in disparte, e con altri

non si mischiava, ma solo viveva, aveva animo ingiusto.

Era un mostro gigante; e non somigliava

a un uomo mangiatore di pane, ma a picco selvoso d’eccelsi monti,

che appare isolato dagli altri.

Come possiamo considerare il pane “solo” un alimento? … Abitiamo il Mediterraneo, e per noi il pane è il nutrimento per definizione.

Pensiamoci bene. Prendiamone una fetta tra le mani e mentre la addentiamo facciamo lo sforzo di curiosare nel nostro bagaglio di memorie. Non sarà difficile farci venire in mente qualcuna delle tante metafore che ci raccontano il pane come una fantastica creatura simbolica. Non solo cibo ma una sintesi potentissima di natura e cultura che si incrociano e spesso si confondono tra loro.

Basterebbero anche solo i riti cristiani che permeano il nostro quotidiano. Con l’Eucaristia, il pane diventa corpo di Gesù e si fa cibo dei cristiani, per liberarli dal peccato originale. Sarebbe una sacralità già sufficiente a far riconoscere l’importanza vitale che il pane ha per l’uomo. D’altro canto, non sarà un caso se in lingua araba “aish” significa allo stesso tempo “pane” e “vita”.

Questo l’avevamo scoperto già qualche anno fa. Proprio “Aish” si intitolava la mostra d’arte contemporanea che lo scultore Matteo Lucca portò al Miab di San Cassiano durante la festa di San Giuseppe. Nel piccolo museo vennero esposte suggestive sculture di pane dalle sembianze umane, che simboleggiavano non solo il nutrimento ma anche l’offerta, il dono e la condivisione. “Cum panis” è infatti il “compagnoche mangia il pane in comunione con un altro.

E ancora, in un bellissimo e infinito gioco di rilanci, spingiamoci fino alla mitologia degli antichi greci e latini. Grano, olio e vino erano la trinità fondativa dell’identità mediterranea. Nella culla della cultura classica, i “mangiatori di pane” si opponevano ai mangiatori di loto, i “lotofagi” selvaggi, barbari che neanche parlavano a modo e non conoscevano l’umanità civilizzata. Come Polifemo d’altronde, il ciclope da un solo occhio che viveva da solo nella caverna buia e non conosceva né il pane né il sale. Nell’Odissea viene descritto magicamente nella citazione che apre questo articolo.

E allora, nonostante tutto questo, come mai oggi il pane viene così spesso incredibilmente sottovalutato?

Forse proprio a causa di quella “normalità” che lo vede alla base delle nostre abitudini alimentari? È presente tutti i giorni sulle nostre tavole. Anche delle mense. Tanto che ormai neppure ce ne accorgiamo.

E invece per noi è un tema centrale nella costruzione della Buona Mensa. Ci piacerebbe innanzitutto che ricominciassimo a riconoscere il “nostropane, e capissimo cosa stiamo mettendo nella bocca. Avere consapevolezza di quante persone hanno collaborato perché noi possiamo mangiarlo. Chi l’ha seminato, chi l’ha raccolto, il mugnaio, infine chi l’ha impastato. Anche perché ha un grande potere sulla salute dei bambini, sull’agricoltura o sull’agroecologia.

Secondo le indicazioni dei Criteri Ambientali Minimi bisognerebbe alternare pane di farine e ricette diverse (farine di grano 0, 1, 2, integrali; di grano duro, con cereali misti, farro, segale etc.).

In questo momento proponiamo il tradizionale “panettosalentino di grano duro, che affettiamo direttamente in mensa per mantenere al meglio la fragranza. È prodotto da un panificio locale, con grani pugliesi e lievito madre. Non è solo una questione di gusto.

Rispettiamo una scelta precisa di riduzione dei rifiuti, che ci ha portato ad abbandonare la pratica di insacchettare nella plastica i singoli paninetti. C’è ancora tanto da fare. La prospettiva futura sarà quella di farci il nostro grano, scegliere le varietà per noi migliori, usare miscele diverse, variare il formato.

Perché il pane è un meraviglioso viaggio tra la natura e nella cultura dell’uomo. E noi ci siamo appena imbarcati.

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